Prende la carta di credito del padre e preleva 30 euro: legittima la condanna del figlio

Irrilevante il riferimento difensivo alla consolidata prassi familiare che già in passato aveva consentito al giovane di utilizzare la carta del genitore, conoscendone la relativa password. Impensabile, quindi, ipotizzare una sorta di consenso implicito da parte del genitore

Prende la carta di credito del padre e preleva 30 euro: legittima la condanna del figlio

Condanna sacrosanta per il figlio che prende la carta di credito del padre per prelevare denaro necessario ad acquistare droga. Irrilevante, in ottica difensiva, il riferimento alla consolidata prassi familiare che già in passato aveva consentito al giovane di utilizzare la carta del genitore, conoscendone la relativa password. Impensabile, quindi, ipotizzare una sorta di consenso implicito da parte del genitore.
Questa la presa di posizione dei giudici (sentenza numero 7651 del 25 febbraio 2025 della Cassazione) a chiusura del processo originato dall’azione compiuta da un ragazzo, ossia l’avere prelevato, di nascosto, 30 euro con la carta di credito del padre.
In prima battuta, i magistrati richiamano il principio secondo cui l’esimente prevista per i fatti commessi in danno di congiunti non è applicabile al delitto di indebito utilizzo di una carta di credito laddove la condotta delittuosa sia stata posta in essere da un familiare del titolare della carta. Ciò perché la ragion d’essere dell’esimente, ossia cautelare i rapporti familiari, che assumono risalto anche sul piano dei valori costituzionali, non può essere arbitrariamente esportata a copertura di condotte che offendono anche, ma non solo, i diritti patrimoniali del titolare della carta.
Detto ciò, per i giudici, poi, l’esistenza di una prassi familiare, richiamata dalla difesa, non può comunque giustificare il consenso, nemmeno implicito, del padre all’utilizzo della carta da parte del figlio in quel preciso momento ed a quello scopo, cioè per l’acquisto di droga. E l’autorizzazione nemmeno può assumere rilievo ai fini dell’esclusione dell’elemento soggettivo del reato, posto che il figlio ha agito nell’esclusivo interesse proprio e non del padre, titolare della carta.
Impossibile, infine, secondo i magistrati di Cassazione, parlare di fatto non grave. Ciò perché, a prescindere dalla modesta entità del danno – 30 euro – arrecato dal figlio al padre, a rilevare sono le modalità concrete della condotta, essendo l’utilizzo indebito della carta di credito avvenuto per procurarsi il denaro con cui acquistare sostanza stupefacente e avendo, peraltro, il giovane utilizzato la carta di credito allontanandosi dall’abitazione in cui si trovava ristretto agli arresti domiciliari.

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