È reato nascondere una microspia in casa per filmare l’ex compagna
Inutile per l’uomo provare a difendersi dall’accusa di interferenze illecite nella vita privata deducendo che la microspia era posizionata nella casa della coppia e che anche lui quindi era parte di quella “vita privata” che la norma mira a tutelare

La Cassazione (sentenza n. 12713 depositata il 27 marzo 2024) ha confermato la condanna inflitta dalla Corte d’appello per il reato di interferenze illecite nella vita privata commesso installando una microspia all'interno dell'abitazione in cui viveva insieme alla ex compagna. Tra i due era infatti in corso un procedimento per l'affido del figlio minore e l’uomo voleva ottenere le prove della manipolazione del minore da parte della madre contro di lui.
La tesi della difesa si fonda sul fatto che il reato in esame non sussiste laddove l'autore della condotta sia il titolare dell'abitazione in cui viene effettuata la registrazione, coabitante nel luogo di dimora, «perché egli è parte di quella “vita privata” che la norma mira a tutelare».
Secondo la giurisprudenza però il reato è integrato anche dalla condotta di colui che, mediante strumenti di captazione visiva o sonora, all'interno della propria dimora, carpisca immagini o notizie attinenti alla vita privata di altri soggetti che vi si trovino, siano essi conviventi o ospiti occasionali. L'unica circostanza che esclude il reato è che l'autore della condotta condivida con i medesimi soggetti e con il loro consenso l'atto della vita privata oggetto di captazione.
L'art. 615-bis c.p. infatti tutela la proiezione spaziale della personalità nei luoghi in cui questa si manifesta privatamente e punisce i comportamenti di interferenza posti in essere da chi risulti estraneo agli atti di vita privata oggetto di indebita captazione.
La Corte rigetta in conclusione il ricorso e condanna l'uomo al pagamento delle spese processuali.