Diagnosi ritardata: prove necessarie per la personalizzazione del danno non patrimoniale

Fondamentale certificare conseguenze ulteriori e diverse da quelle ordinariamente discendenti dalla patologia

Diagnosi ritardata: prove necessarie per la personalizzazione del danno non patrimoniale

La personalizzazione del danno non patrimoniale richiede la specifica allegazione e prova di conseguenze ulteriori e diverse da quelle ordinariamente discendenti dalla patologia, non potendo fondarsi su generiche affermazioni o circostanze che non comportino ex se conseguenze eccezionalmente più gravi rispetto a quelle considerate dalle tabelle standard.
Questo il punto fermo fissato dai giudici (ordinanza numero 8475 del 31 marzo 2025 della Cassazione), chiamati a prendere in esame il contenzioso relativo all’azione risarcitoria avanzata da una donna nei confronti di una struttura sanitaria per i danni da lei riportati a causa di una ritardata diagnosi di carcinoma squamoso.
Nello specifico, la donna ha fatto presente che i medici dell’ospedale, dopo aver riscontrato l’esistenza di un nodulo mediante un esame radiografico toracico eseguito in occasione di un ricovero presso la struttura, l’avevano dimessa senza indicazioni, mentre in séguito era emersa la patologia tumorale polmonare, con conseguente quanto efficace intervento di pneumonectomia destra con asportazione di alcuni noduli ascellari.
Sacrosanto, secondo i giudici di merito, il risarcimento, con una personalizzazione del danno, però, dovendosi tener conto delle difficoltà nelle ordinarie attività quotidiane, risiedendo la vittima in altitudine, e dunque della singolarità dell’esperienza di vita individuale, caratterizzata da aspetti relative alle dinamiche emotive della vita interiore, all’uso del corpo e alla valorizzazione dei relativi aspetti funzionali. Senza dimenticare, poi, il danno morale, distinto da quello biologico, aggiungono i giudici d’Appello, i quali escludono, invece, il danno da perdita di chance di maggiore sopravvivenza, stante la mancanza di recidive trascorsi già cinque anni.
Per i magistrati di Cassazione, invece, la personalizzazione del danno non pare affatto scontata.
In generale, il danno morale discende presuntivamente dalla lesione della salute, essendo un’ordinaria componente, oltre a quella fisica e come tale relazionale, del danno biologico, salva specifica allegazione di parte (con relativa prova) diretta a valorizzarlo in misura eccezionalmente ulteriore.
Corretta, poi, la modalità di liquidazione del danno morale attraverso il riferimento all’entità del danno biologico a cui la sofferenza interiore patita dal soggetto danneggiato è correlata, senza che tale osservazione valga a incidere o, comunque, a compromettere la strutturale distinzione tra le due specifiche categorie di danno.
Allo stesso modo, un attendibile criterio logico-presuntivo funzionale all’accertamento del danno morale quale autonoma componente del danno alla salute è quello della corrispondenza, su di una base di proporzionalità diretta, della gravità della lesione rispetto all’insorgere di una sofferenza soggettiva: tanto più grave, difatti, sarà la lesione della salute, tanto più il ragionamento inferenziale consentirà di presumere l’esistenza di un correlato danno morale inteso quale sofferenza interiore, morfologicamente diversa dall’aspetto dinamico relazionale conseguente alla lesione stessa.
Ragionando in questa ottica, quindi, in merito alla personalizzazione del complessivo danno non patrimoniale è stato compiuto un errore in Appello, secondo i giudici di Cassazione, essendo mancato il riferimento a conseguenze ulteriori e diverse da quelle ordinariamente discendenti dai fatti quali accertati. Insufficiente, difatti, il richiamo a non meglio specificate dinamiche interiori e afferenti all’uso del corpo. Di dubbia consistenza, poi, il riferimento al fatto che la vittima fosse residente in altitudine: ciò non implica, ex se, secondo i giudici, pur in mancanza del polmone destro, conseguenze eccezionalmente più gravi.
Infine, anche la mera consapevolezza della patologia, peraltro correlata al timore di minori possibilità di sopravvivenza infine escluse, non è parimenti in grado di distinguere il caso da quello di ogni soggetto che abbia subito omologo pregiudizio, chiosano i magistrati.

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