Furto in una sala parrocchiale: impossibile riconoscere in automatico il luogo come privata dimora
Il criterio dirimente è di carattere funzionale, giacché postula che le attività che si svolgono all’interno del luogo siano assimilabili a quelle manifestazioni di vita privata tipiche dell’abitazione, sicché esse rimandino alla proiezione spaziale della libertà personale

Furto in una sala parrocchiale: illogico catalogare in automatico il luogo come privata dimora. Questo il punto fermo fissato dai giudici (sentenza numero 8248 del 27 febbraio 2025 della Cassazione), i quali rimettono in discussione la condanna inflitta in Appello ad un uomo, ritenuto colpevole, come accertato tra primo e secondo grado, di avere sottratto un computer portatile dopo essersi introdotto nella sala parrocchiale all’interno di una chiesa.
Per i magistrati di terzo grado è necessario ‘pesare’ l’azione criminosa, valutando con attenzione il contesto.
In premessa, comunque, viene ribadito che il concetto di privata dimora è più esteso di quello di abitazione. La privata dimora viene in rilievo nel suo essere proiezione spaziale della persona, cioè ambito primario e imprescindibile alla libera estrinsecazione della personalità individuale: all’interno del concetto di privata dimora vanno, quindi, ricompresi luoghi che, ancorché non destinati allo svolgimento della vita familiare o domestica, abbiano comunque le caratteristiche dell’abitazione. Tanto si ricava dal piano costituzionale, laddove, sancendo l’inviolabilità del domicilio – in stretta connessione con la libertà individuale – si aggancia la libertà di domicilio, per un verso, al diritto di ammettere o escludere chiunque altro da un determinato luogo, e, per altro verso, al diritto alla riservatezza su quanto si compia nei medesimi luoghi. Inoltre, sulla base del presupposto rappresentato dal rapporto tra la persona e un luogo, generalmente chiuso, in cui si svolge la vita privata, in modo da sottrarre chi lo occupa alle ingerenze esterne e da garantirgli quindi la riservatezza, si è affermato che rientrano nella nozione anche i luoghi, pure destinati ad attività lavorativa o professionale, nei quali si svolgono non occasionalmente atti della vita privata, e che non siano aperti al pubblico né accessibili a terzi senza il consenso del titolare.
Tirando le somme, il concetto di privata dimora si ancora a tre elementi: l’utilizzo del luogo per lo svolgimento di manifestazioni della vita privata (tra cui rientra l’attività lavorativa in genere) in modo riservato e al riparo da intrusioni esterne; la durata apprezzabile del rapporto tra il luogo e la persona, che deve essere caratterizzato da stabilità e non da occasionalità; la non accessibilità del luogo da parte di estranei senza il consenso del titolare. E da ciò deriva che l’interdizione del fondo al pubblico accesso non è sufficiente ad escluderne la caratterizzazione di privata dimora: si tratta di un elemento necessario, ma non sufficiente. Elemento necessario poiché la libera accessibilità da parte del pubblico esclude, ex se, che il luogo possa ritenersi adibito a privata dimora, in ragione della mancanza del requisito di riservatezza delle attività che si svolgano lì. Elemento non sufficiente, posto che non è dato ricavare dalla sola chiusura al pubblico del luogo la qualità di privata dimora.
In realtà, il criterio dirimente è di carattere funzionale, giacché postula che le attività che si svolgono all’interno del luogo siano assimilabili a quelle manifestazioni di vita privata tipiche dell’abitazione, sicché esse rimandino alla proiezione spaziale della libertà personale.
Ciò detto, rimane ferma la necessità di esaminare in concreto le caratteristiche dell’ambiente al cui interno si è consumata la condotta criminosa, perché non può escludersi, osservano i giudici di Cassazione, che all’interno di un luogo in cui si svolgano attività non funzionalmente riconducibili a manifestazioni di vita privata esistano spazi adibiti, invece, a simili attività (si pensi al bagno privato di uno studio professionale o a un locale adibito a spogliatoio).
Applicando questa prospettiva alla vicenda oggetto del processo, è evidente, secondo i giudici di Cassazione, l’errore compiuto in Appello, laddove non è stata fornita adeguata motivazione sulla effettiva sussistenza, nel caso concreto, di caratteristiche idonee a connotare il locale definito sala parrocchiale come luogo di privata dimora.
Entrando nei dettagli, i giudici di secondo grado hanno fatto leva su alcuni dettagli: la sala, quando non utilizzata, è chiusa a chiave dal parroco che ne ha l’esclusiva disponibilità; il rapporto tra la sala parrocchiale e il parroco è connotato da stabilità, trattandosi di locale destinato allo svolgimento di attività extra-canoniche, il cui ingresso è riservato a persone selezionate; è un luogo funzionale allo svolgimento di attività, complementari a quelle liturgiche, caratterizzate da maggiore riservatezza rispetto a quelle legate in senso stretto all’esercizio del culto dei fedeli. In particolare, si tratta di un luogo adibito alla catechesi, al ricevimento riservato di determinati fedeli da parte del parroco, nonché all’esercizio di attività ludiche con o senza il coinvolgimento di volontari. Ma, osservano i magistrati di Cassazione, i primi due requisiti sono condizione necessaria, ma non sufficiente, ai fini del concetto di privata dimora, sicché la loro presenza non orienta in senso risolutivo l’analisi. Il terzo requisito fa riferimento anch’esso ad aspetti non dirimenti, poiché non costituiscono manifestazione di vita privata né l’esercizio di attività ludiche (se così fosse anche una ‘sala giochi’ dovrebbe essere luogo di privata dimora) né il ricevimento riservato di fedeli (altrimenti anche uno studio professionale dovrebbe qualificarsi come privata dimora essendo funzionalmente dedicato al ricevimento riservato dei clienti).